Dopo otto anni dall’ultimo capitolo della cosiddetta “trilogia meridionale”, Angelo Mellone torna con un reading che, dopo Addio al SudAcciaiomare Meridione a rotaia, costituisce un completamento della sua meditazione poetica sul Mezzogiorno.

Nel caso di questo monologo, le radici di uno spatriato diventano prologo a una domanda che lacera l’animo dell’autore: quando non ci sarò più, cosa resterà di me? Cosa posso fare per non essere dimenticato come un soffio di polvere?

La domanda assume subito il volto della sfida perché non viene lanciata nel vuoto, ma rivolta direttamente ai tre figli dell’Autore. Idealmente, Mellone li incontra a ottobre sul muretto di un lungomare, fra i pochi abitanti autunnali di Castellaneta Marina, in provincia di Taranto, uno dei suoi luoghi del cuore. Si siedono tutti a guardare il mare, a mangiare qualcosa, osservando ciò che li circonda, fissando il mare e i contorni della città industriale che sta loro a Oriente, la città dove l’Autore è nato e giovanissimo ha seppellito il padre, uno dei primi tarantini a essere assunto per costruire il grande stabilimento siderurgico. Con Marianna, Jacopo ed Elena Mellone intesse dialogo, e a ciascuno di loro trasmette ricordi, paure, ansie, confidenze, in una coraggiosa presa d’atto di debolezza, un mettersi a nudo di padre eternamente alle prese con un senso di inadeguatezza che però non impedisce a Mellone di recuperare il tono violento e lirico delle sue precedenti orazioni civili, come quando fustiga i meridionali ossessionati dalla vita metropolitana o quando rivendica la sua militanza giovanile “a destra” per il gusto di fare scandalo e diventare uomo a modo suo. Ma è soprattutto il tema della fragilità e, in fondo, la paura di scomparire anche agli occhi dei figli – a cui Mellone si sforza di raccontare l’anima del Meridione, proprio a loro nati altrove - che anima questa scrittura, questa recitazione, questo viaggio ossessivo in decine e decine di luoghi, dove le parole di Mellone si mescolano con le note del grande chitarrista Salvatore Russo e le immagini confezionate a mo’ di racconto dal regista Giuseppe Carucci, il duo con cui Mellone si sistema sul palco per accompagnare in poco più di cinquanta minuti il pubblico dentro un viaggio che intreccia polemicamente, poeticamente e con un grande senso di malinconia il Sud, le appartenenze, le scordanze, la paternità, la perdita, l’eredità, la tradizione e, in fondo, la morte e l’amore.

«La voce poematica di Angelo Mellone è ormai una voce riconoscibile, direi unica nel panorama poetico italiano.»

Andrea Di Consoli