Lo spettacolo è un concentrato di Jannacci e di quei geniali artisti
che l’hanno accompagnato nella sua carriera. Il racconto di capolavori che vanno da “El purtava i scarp del tennis”, uno dei suoi primi brani da solista, a “Vengo anch’io no tu no” il pezzo che lo ha reso famoso al grande pubblico.

Gli inizi con Adriano Celentano, gli incontri fortunati con Giorgio Gaber e Dario Fo, che accompagneranno per sempre la sua carriera, il suo amore per il rock, per il jazz, ma soprattutto per le persone e le loro storie, raccontate nelle sue canzoni, storie che Jannacci restituiva con quella sua proverbiale leggerezza, ma che allo stesso tempo colpivano per il loro significato più profondo. Jannacci lo possiamo vedere in tanti modi diversi, nei dialoghi al bar, nel Milan che pareggia zero a zero, nella foto di un figlio senza motorino, in una foto in bianco e nero di una donna davanti a una fabbrica che si chiamava Vincenzina, a un’altra foto, dove Veronica dava il suo amore per una cifra modica.

In Cochi e Renato in Paolo Conte in Beppe Viola in Sandro Ciotti e in tutti quelli che, in qualche modo, sono stati nei suoi dintorni collaborando con lui. Enzo Jannacci per alcuni era non del tutto comprensibile, perché era uno dei pochissimi artisti che riuscivano a proiettarti dentro le emozioni senza alcun
compromesso in maniera a volte comica a volte tragica.
Una storia minima insomma di Jannacci un po’ raccontata e un po’ cantata da Simone Colombari e Max Paiella.